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Kyuss - Blues For The Red Sun (1992)

Point Of View

Stai correndo sulla strada. Una strada irregolare, sconnessa, oscura. Concentrato solo su te stesso, sul tuo smarrimento. Non ricordi nemmeno se sei rincorso o se stai rincorrendo. Consapevole e vigile, non sei in preda al panico. Ma sai che devi correre. E corri più forte. Perchè l'insidia è dietro l'angolo. Improvvisamente un tonfo sordo arriva dal sottosuolo e ti destabilizza. Ti giri. Inciampi. Cadi. Rovini per terra dove ad attenderti ci sono solo sassi e asfalto, pronti a lacerarti la pelle e scavarti le carni. Concentrati e ferma questo istante. E' questo che il suono dei Kyuss ti farà vivere. Ma qui l'asfalto è l'asfalto incandescente di una strada nel deserto. Una strada senza fine. Dove il cielo è cupo ma non piove. Dove la sabbia è ovunque e ti scava la carne. Dove il sole rosso non è lì per scaldarti ma per bruciarti. Benvenuto nel “Blues For The Red Sun”.

Recensione

Blues For The Red Sun è la pietra miliare dello stoner. Un genere musicale che nasce nel deserto, per ereditarne il fuoco che ti brucia dalle viscere. Per farti assaggiare la sabbia che corrode l'anima. Lo straniamento e le allucinazioni provocate da quel rovente inferno senza fine. Così l'urlo sofferto di John Garcia e i riff poderosi della chitarra di Josh Homme, tenuta un paio di toni sotto e fatta passare dall'amplificatore di un basso, trasformano le canzoni in un colpo di maglio allo stomaco. Un muro di suono che ti fa vivere le sensazioni del deserto più spietato. Un ruggito mostruoso, capace però anche di stemperarsi in visioni psicadeliche, di diffondere l'attitudine mistica che sarà destinata poi a perdersi con i Queens of The Stone Age. Ma veniamo all'album. Dalla durissima apertura di Thumb – qualche secondo di arpeggio seguito da un' apocalisse di distorsioni – fino ai trip deliranti di Mondo Generator e alle epiche allucinazioni mentali di Freedom Run, passando per la cavalcata a rotta di collo di Green Machine (con tanto di assolo di basso!) e all'alternanza di silenzi ed esplosioni di Thong Song, i Kyuss imprimono le regole di un genere che, purtroppo, negli anni successivi non avrà mai più lo spessore e il potere visionario dei Kyuss ma riuscirà soltanto a imitarne gli aspetti più superficiali. Sarebbe riduttivo pensare ai Kyuss come agli “eredi moderni” dei Black Sabbath. Pur nella sua brutalità, la formula della band di Palm Springs riesce infatti ad elevarsi a una qualità sonora inarrivabile, grazie ad aperture estatiche e sottigliezze musicali che è possibile cogliere solo dopo ripetuti ascolti! Il muro sonoro messo in piedi da Homme e soci è si complesso oltre l'immaginabile, ma paradossalmente pure capace di giocare con lo spazio e lasciare intravedere punti di fuga verso l'infinito. Gli stessi orizzonti che chiudono la vista nel deserto, là dove continuano a riverberarsi le scosse telluriche dei generator-parties e qualche coyote canta ancora il suo blues delirante sotto il calore rovente di un sole rosso fuoco.

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